In occasione della settimana della Fashion Revolution, il 21 aprile 2021, Camilla Carrara di ZEROBARRACENTO ha tenuto una diretta nella quale la nostra Vice Presidente Cora Bellotto ha raccontato la sua idea di moda sostenibile e della nascita della nostra associazione.
L'intervista è salvata nell'IGTV di ZEROBARRACENTO.
Come inserisci in collezione lo zero waste ?
Per me lo zero waste rappresenta uno stimolo creativo. Spesso infatti, avere dei limiti entro cui lavorare è la base da cui si sviluppa la creatività. Cosa succede nella creazione di un pezzo zero waste? Sostanzialmente ci poniamo di fronte a un tessuto, che avrà una sua determinata altezza, una cimosa di un certo tipo, e ci diamo l'obbiettivo di non sprecare nulla in fase di taglio e confezione. In un certo senso, il tradizionale processo di design di moda viene sovvertito; quello che è l'iter standard che procede in linea retta attraverso disegno - cartamodello - prototipia si trasforma in un processo creativo circolare, dove ogni fase avviene più o meno contemporaneamente o quantomeno nessuna si impone sulle altre in maniera netta. Non tutti i capi delle mie collezioni vengono creati in questo modo, molti seguono l'iter tradizionale, ma è una metodologia che mi piace usare di tanto in tanto, soprattutto di fronte a tessuti particolarmente belli e preziosi che sembrano chiedermi di essere valorizzati fino all'ultimo centimetro.
Qual’è la tua visione del design di moda sostenibile? Come si sviluppa il tuo processo creativo?
Per quanto mi riguarda, la decisione di fare moda sostenibile non è stata una scelta puramente mentale. Se scelgo di lavorare in un determinato modo, di usare tessuti di un certo tipo, di collaborare con determinate realtà, è perché istintivamente sento che quella è la scelta giusta, che è in sintonia con me. Mi piace spesso fare dei paralleli tra la moda e il cibo; se pensiamo alla scelta di essere più sostenibili come a fare una dieta, come cioè a privarci di qualcosa, questa non durerà a lungo. Se invece siamo capaci di entrare in contatto con le nostre reali necessità, con ciò che ci piace nel senso di ciò che ci fa stare bene, che è in sintonia con noi, ecco che siamo in grado di operare scelte realmente consapevoli e non puramente mentali. Per questo motivo, prima ancora di pensare di “mangiare salutare” penso a “mangiare bene”, mangiare ciò che il mio corpo desidera. E allo stesso modo, prima ancora di “fare moda sostenibile”, penso a “creare qualcosa di bello”, qualcosa che sia in linea con me stessa e con i miei valori. Ovviamente è necessario passare attraverso una fase mentale, in cui ci si informa e si apprende il perché delle cose; successivamente si può lasciare andare e mettersi nella condizione in cui tutto ciò avvenga naturalmente. Per quanto riguarda il mio processo creativo, io parto sempre dal tessuto. E' nella ricerca dei tessuti che inizio a visualizzare cosa prenderà forma. Amo profondamente il tessuto, il fatto che ciascuno abbia la sua personalità, il suo modo specifico di muoversi e di scivolare sul corpo, il suo fruscio o la sua croccantezza. Proprio come le persone, ogni tessuto ha il suo carattere e già di per sé racconta una parte di storia. Nella creazione del capo, nell'incontro e contrasto con altri tessuti, si viene a formare un vero e proprio racconto. Come uno scrittore che delinea dei personaggi e poi li fa interagire tra di loro, nella creazione di una collezione lascio che siano i tessuti a raccontarmi una storia.
Come comunichi i valori di sostenibilità al potenziale consumatore?
Credo che insistere troppo sulla sostenibilità nella comunicazione sia alla fine controproducente. Certo, è importante che al cliente finale arrivi il messaggio e che il prodotto non finisca nel mucchio indistinto dell'offerta straripante che ci circonda. Allo stesso tempo però, il potenziale consumatore deve essere attratto dal prodotto perché bello, perché interessante, perché di qualità. Detto ciò, a me piace molto quando posso essere presente e comunicare direttamente con le mie clienti, raccontare un po' della mia storia e di ciò che significa per me fare quello che faccio. Se invece lascio che siano altri a presentare il mio prodotto, ho bisogno di sapere che queste persone saranno in grado di far passare il messaggio come farei io. Per quanto riguarda l'online, devo ammettere che ancora fatico ad adattarmi a questa modalità. Nel mondo che si sta venendo a delineare, sarà sicuramente sempre più importante la comunicazione e la vendita online; tuttavia rimango dell'idea che non ci sia modo migliore di capire il mio prodotto che toccandolo, osservandolo da vicino, indossandolo.
La sostenibilità sociale è un valore imprescindibile per te, ci racconti dello Spazio 3R di cui sei socia fondatrice e vicepresidente?
Una notizia bella del 2020, che per lo più non ci ha portato molte cose belle, è stata proprio la creazione dell'Associazione Spazio 3R di cui sono socia fondatrice e vice presidente. Le 3 R stanno per Riciclo, Ricucio, Riuso, dove il “Ricucio” vuole significare anche e soprattutto il “ricucire legami”, quindi integrazione e fiducia in se stesse delle ragazze che in diversi modi si sono avvicinate a questa esperienza. Brevemente, la storia di Spazio 3R è questa: nasce nel 2016 come progetto di Associazione Irene, che realizza con la partecipazione di Fondazione Cariplo un primo corso base di sartoria dedicato a donne in situazione di difficoltà, attraverso il riciclo e riuso di materiali tessili. Negli anni successivi seguono altri corsi base e corsi avanzati finanziati grazie al sostegno di Fondazione Canali e che vedono la partecipazione di docenti come Renata Turati, modellista e insegnante presso Afol Moda. Per quanto mi riguarda, sono entrata in contatto con Spazio 3R nel 2018 grazie al passaparola di un'amica e il destino ha voluto che fossi la prima a credere nelle capacità delle ragazze di realizzare una piccola produzione per la mia collezione S/S 2019. Il lavoro è andato molto bene e sono rimasta molto soddisfatta. Da allora il laboratorio ha prodotto per diversi brand emergenti, tutti accomunati dalla volontà di produrre bene senza dimenticare la dimensione sociale del lavoro. Il 2020 è stato un anno difficile, purtroppo a causa delle restrizioni non si è riuscito ad attivare nessun nuovo corso di sartoria, in compenso però si sono cementate le relazioni esistenti e grazie alla creazione della Nuova Associazione come ente autonomo si è riusciti a garantire stabilità a quelle ragazze che più di tutte si erano distinte per la loro professionalità. Rania e Halima sono oggi assunte part time e sono le colonne portanti del laboratorio. Oltre a loro due, orbitano intorno al laboratorio molte altre ragazze che hanno partecipato ai corsi negli anni passati e che vengono coinvolte in maniera più flessibile su diversi progetti. Ad oggi lo scopo nonché la sfida di Spazio 3R è quello di procedere e crescere come laboratorio di produzione artigianale conto terzi, mantenendo però la sua vocazione alla formazione e all'integrazione lavorativa; intendiamo quindi ripartire appena possibile con nuovi corsi di formazione. Un domani, le stesse ragazze potranno essere le insegnanti dei nuovi moduli formativi. Oltre a ciò, e qui veniamo alla parte che più mi coinvolge, si è deciso di strutturare Spazio 3R come un vero e proprio atelier di moda sostenibile, con la creazione di una linea di abbigliamento ad etichetta Spazio 3R su cui abbiamo da poco iniziato a lavorare. Abbiamo a disposizione moltissimo materiale, tutto frutto di donazioni, in primo luogo da parte della Fondazione Canali che ci destina le rimanenze di magazzino ma anche di altre aziende di accessori e tessile per la casa nonché di moltissimi privati. Sono tutti tessuti di alta e altissima qualità che trovano così una nuova vita. E' un'esperienza molto bella e stimolante per me, proprio per il fatto di entrare in relazione, cosa che per un designer non è sempre scontato. Sono convinta che ci siano ottime potenzialità di sviluppo grazie alla sinergia tra le persone che si sta venendo a creare e questa in fin dei conti è la sostenibilità in cui credo.
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